Se volessimo spiegare la politica e la campagna elettorale allora forse sarebbe meglio parlare di calcio. Non intendiamo il calcio farlocco o peggio ancora quello degli assist di Renzi a Calenda, ma del calcio politico nostrano.
Presto detto.
In Italia c’è un campionato dove si gioca una unica partita su un un solo campo di gioco. La partita non è niente altro che le elezioni nazionali e il campo di gioco da gioco si chiama “democrazia”.
Le regole del gioco sono queste: se sei una squadra forte, finanziata bene, con giocatori che sono delle vere pippe ti è permesso giocare, se invece hai giocatori in gamba ma sei una squadra piccola senza finanziamenti e non hai lobby che ti sponsorizzano, non puoi neppure entrare in campo.
Poi inizia l’unica partita che comprende le eliminazioni e la finale insieme ovvero la campagna elettorale, durante la quale le squadre si scontrano, sembrano combattersi tra loro cercando di arrivare prime per accaparrarsi la coppa; solo a guardarli giocare fanno schifo ma di solito una fa più goal degli altri e vince.
Una volta vinto, però la coppa del vincitore non va a nessuno perché in Tribuna d’onore c’è il presidente della Repubblica il quale decide lui chi deve essere il vincitore (vedrete sarà così a settembre) e spesso capita che il vincitore non era nemmeno uno dei giocatori; gli consegna la coppa specificando però che deve essere condivisa anche con chi ha perso (ovvero tra tutte le pippe che hanno giocato) fino al prossimo campionato.
Nel frattempo sugli spalti e nelle curve gli italiani applaudono, escono dallo stadio con le bandiere e vanno in giro a festeggiare la vittoria (tutti gridano alla vittoria) e conservano il biglietto dello stadio per ricordo di quanto gli è costato: circa il 60% del proprio reddito annuale.
Sono tutti contenti, tornano a casa rivedono partita e commenti in televisione e pensano: che bello essere in una democrazia antifascista.